A un anno e mezzo dall’inizio dei Giochi invernali di Milano-Cortina è possibile tracciare un bilancio di come funziona un “grande evento”. Tra promesse di sostenibilità ambientale e sobrietà economica al rapporto tra interessi pubblici e particolari. L’inchiesta di Altreconomia sulle Olimpiadi, il punto della situazione delle opere infrastrutturali, chi ha già vinto e chi ha già perso.

Dovevano essere i “Giochi invernali più sostenibili e memorabili di sempre, fonte di ispirazione per cambiare la vita delle generazioni future”, per citare la promessa fatta più di quattro anni fa dagli organizzatori di Milano Cortina 2026 nel dossier di candidatura presentato al Comitato olimpico internazionale (Cio) l’11 gennaio 2019.

Secondo Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, sono i fatti a smentirlo. Prendiamo proprio il dossier di candidatura, dove la parola “sostenibilità” si ritrova 96 volte in 127 pagine. Il comitato organizzatore si era allora formalmente impegnato con il Cio ad adottare uno standard internazionale ISO per “gestire il potenziale impatto ambientale, sociale ed economico dell’evento in modo coerente e integrato” e disegnare così un “Sistema di gestione sostenibile lungimirante per Milano Cortina 2026”.

A più di quattro anni dalla presentazione del dossier ci si ritrova quindi impelagati nella fase di “scoping”: mancano ancora l’elaborazione della documentazione, la consultazione, la valutazione ambientale, la revisione, l’approvazione, l’attuazione e il monitoraggio. Il tutto assume i contorni della farsa perché nel frattempo le “vere” opere olimpiche, quelle cioè in mano alla Società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 (Simico Spa, di cui il governo è il primo azionista con il 70% del capitale), vanno avanti a tappe forzate, con iter spediti dettati dal commissario straordinario.

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