Il 2020 ha rappresentato uno spartiacque nella storia dell’umanità, fra cento anni non ricorderemo questo periodo solo per lo scoppio della pandemia da Covid-19, ma anche perché un confine, fino a qualche anno fa inimmaginabile, è stato superato: il 2020 verrà ricordato anche come l’anno in cui il peso dei materiali artificiali prodotti dall’uomo ha superato il peso della intera biomassa presente sul pianeta.

Questa fotografia emerge dallo studio di un team di ricercatori dell’Istituto israeliano Weizmann per le Scienze. Nell’ultimo secolo la massa di prodotti e opere creati dall’uomo – edifici, strade, macchine – è cresciuta esponenzialmente, raddoppiando ogni 20 anni. Al contrario, la sola biomassa vegetale (alberi, arbusti, ecc), dalla prima rivoluzione agricola a oggi, si è dimezzata e gli scienziati parlano ormai di una imminente sesta estinzione di massa in arrivo. L’enormità di questi dati, archiviata silenziosamente, coperta come è stata dall’emergenza sanitaria, rappresenta un punto di non ritorno per la storia del mondo e della nostra specie.

Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica, una ventina di anni fa propose, un po’ provocatoriamente, di cambiare nome all’attuale era geologica chiamandola antropocene – per sottolineare come già all’epoca le attività umane avessero raggiunto un impatto tale da cambiare definitivamente la geologia del pianeta. Quella proposta, persa ogni provocatorietà, oggi è al centro del dibattito scientifico internazionale.

Non sono infatti solo lo sfruttamento di risorse e la produzione ad aumentare esponenzialmente, ma anche le nostre emissioni di gas serra, la temperatura e le acque del pianeta, la perdita di biodiversità, che mai è stata così accelerata. Ognuno di questi fenomeni è acuito dagli impatti delle attività umane e si intreccia agli altri.

Davanti a questi moniti del mondo scientifico, si addensano nei cieli di domani diversi interrogativi. Ci attendono solo cartografie del collasso o possiamo immaginare delle vie di uscita? Esistono nuovi spazi di progresso e sviluppo? E che significato vorremo dare a queste parole? Come cambieranno le nostre abitudini quotidiane? Alcuni gruppi di ricerca parlano già di materie prime provenienti da Marte, di alimentazione a base di insetti, di città-bosco sostenibili.

Con la quarta edizione del Festival delle Geografie – Il Libro del Mondo, che abbiamo voluto intitolare “E se domani… geografie per abitare il futuro”, vorremmo capire – come sempre attraverso diversi punti di vista – quali di questi scenari siano verosimili e quali altri possiamo immaginare e progettare per vivere questi anni cruciali da cittadini consapevoli e attivi.

La scelta del verbo abitare non è casuale e parla del nostro rapporto con lo spazio e del nostro essere cittadini. Nella costruzione della quarta edizione abbiamo avviato i lavori proprio da una riflessione sulla città e gli spazi urbani, quelli lontani e quelli vicini.

Quelli globali, perché nel 2050 saremo più di 10 miliardi e i tre quarti di questi uomini e donne abiterà in aree urbane e questo processo di urbanizzazione sarà particolarmente rapido e tumultuoso nei paesi segnati dalle peggiori disuguaglianze sociali ed economiche.  Pensare il futuro.

Quelli vicini, perché il nostro contesto, la città diffusa brianzola, è uno spazio ibrido e per questo interessante: rappresenta un territorio misto tra Milano e le Alpi, in cui le tensioni dell’urbano e del rurale giocano una partita particolare, un territorio di frontiera che, come ogni zona di confine, offre alla lettura geografica molti spunti.

Come cambieranno in questi anni di crisi le dimensioni fondamentali del nostro vivere associato: il nostro rapporto con l’ambiente, la politica, l’economia? Quali scelte dovremo compiere per far fronte agli interrogativi che la nuova era ci pone? Quali saranno gli effetti a medio lungo periodo dei lockdown fisici e psicologici subiti in questi anni sul nostro modo di lavorare, spostarci, relazionarci? Il turismo – la più grande industria mondiale – come muterà?

Dentro le città e le loro contraddizioni bisogna guardare in cerca di segni che ci aiutino a decifrare, ancora una volta, le pagine del Libro del Mondo e ad essere parte attiva nei suoi processi di cambiamento. In ossequio a un vecchio principio (sempre valido) cercheremo di fare della quarta edizione del Festival un luogo in cui pensare in modo globale possa aiutarci ad agire, concretamente, a livello locale.