In attesa della conferenza che Daniele Scaglione terrà a Villasanta sabato 17 settembre, nel contesto del Festival delle Geografie, pubblichiamo un’intervista di presentazione del suo libro “Più idioti dei dinosauri“.

D: Quando è uscito il tuo libro, all’inizio del 2022, pensavo che il titolo Più idioti dei dinosauri meritasse un punto interrogativo alla fine. Dopo pochi mesi, penso invece che dovremmo aggiungere un punto esclamativo. Il cambiamento climatico procede a passo spedito, i ghiacciai ci salutano seppellendoci, la siccità 2022 è peggiore di quella degli anni precedenti, la guerra seguita all’invasione russa dell’Ucraina mette in discussione il piano di transizione ecologica elaborato dall’Unione europea. Nella tassonomia europea, la lista degli investimenti ritenuti sostenibili e quindi finanziabili, rientrano nucleare e gas fossile. Noi, sapiens (!), non siamo in grado di prevedere nulla, non abbiamo visione. Meglio i dinosauri?
R: Non saprei dire, non sono un drago, con la punteggiatura. Però mi sembra sia meglio lasciarlo così com’è, senza punti di domanda né punti esclamativi, perché se è vero che ci sono i segnali negativi che dici tu, c’è anche un insieme di persone e aziende che continuano ad andare avanti, che non si fermano e costruiscono un’alternativa al rimanere schiacciati dalla crisi climatica. Non sto dicendo che va tutto bene, ovviamente. Dico solo che la situazione è complessa e ci sono spinte in un senso e nell’altro. Per cui siamo ancora lì: potenzialmente siamo più idioti dei dinosauri e continuiamo a esserlo. Resta però ancora molto da fare, ci sono ancora tantissime partite da giocare.
D: Una narrazione, spesso ingannevole, contrappone boomer (adulti attempati) cattivi e irresponsabili a giovani senza spazio e senza futuro. La contrapposizione generazionale non nasconde il tema di fondo? Ovvero un modello di capitalismo che, da un lato, esprime il suo lato peggiore assoggettando al profitto di pochi beni comuni e benessere condiviso e, dall’altro, utilizza “sapientemente” media vecchi e nuovi per come anestetico per le coscienze. Magari in cambio di like e follower e di qualche soldo a influencer della porta accanto. L’emergenza climatica o meglio la difficoltà ad affrontarla, non è (anche) figlia di un modello di sviluppo e di convivenza basato sull’arricchimento/consumo compulsivo e sulla permanenza di rapporti “armati” fra decisori politici in cui la legge del più forte prevale sempre sulla legge giusta? Siamo antropologicamente incapaci e quindi guardiamo tutti il dito invece di alzare lo sguardo verso la luna?
R: Io credo che la divisione generazionale ci sia. Credo che, mediamente, noi boomer sulla crisi climatica ci siamo comportati e ci comportiamo ancora da irresponsabili e che non siamo capaci di realizzare politiche in favore dei giovani e non solo sul tema del clima. Sul discorso del capitalismo e modello di sviluppo, posso dirti questo: sono convinto che l’obiettivo prioritario delle politiche debba essere il garantire tutti i diritti a tutte le persone del mondo. Non so – davvero non lo so – se per fare questo ci sia un modello migliore o uno peggiore. Penso che ci siano cose che devono aumentare, ad esempio la produzione e il consumo di energia. Perché più energia elettrica disponibile significa più scuole, più ospedali, più servizi pubblici in generale. Penso debba aumentare il numero di treni e ferrovie. Penso ci siano cose che devono diminuire, come la produzione di mezzi di trasporto privati, gli allevamenti intensivi e il consumo del suolo. C’è un modello che consente questo approccio più di altri? Non lo so: credo siano cresciute le disuguaglianze, il che è un disastro di cui sono responsabili prima di tutto coloro che guidano e hanno guidato i paesi del mondo, ma mi pare che sia successo ovunque, a prescindere dal tipo di governo e di modello seguito da un paese o dall’altro.
D: Attenuando il pessimismo e guardando a un futuro possibile, emerge una parola chiave: adattamento. Anche se il mondo, tutto e subito, invertisse la rotta, azzerando le emissioni, adottando comportamenti virtuosi su larga scala, gli effetti non sarebbero certo immediati (come non lo sono stati quelli negativi), dovremo comunque attraversare una “fase” inerziale: gli effetti dell’inversione di rotta li vedranno i nipoti. Quali consigli daresti a tuo figlio, ma anche a chi può decidere, per attenuare gli impatti del cambiamento climatico in atto?
R: Sono tra coloro che hanno contribuito a creare il guaio, dunque non voglio dare consigli a chicchessia. L’unica cosa che mi sento di dire è che dobbiamo spingere sulla collaborazione, cominciando con l’unirsi e ascoltare chi già questo problema l’affronta, a partire dalle giovani e dai giovani di Fridays For Future. Chi ha il potere decisionale non ha certo bisogno dei miei consigli, perché sa già come stanno le cose: deve trovare il coraggio di fare le scelte. La cosa curiosa è che le persone vogliono la transizione ecologica, come conferma un rapporto del Think Tank Ecco del luglio 2022, e parliamo di persone di tutti gli schieramenti politici. La vogliono anche molte aziende, per quella che è la mia esperienza (lavoro come formatore e consulente). È la classe politica a dormire, come se avesse paura di fare le cose, e questa è una situazione che fatico a capire.
D: Alla luce degli avvenimenti dell’anno in corso, della lezione non appresa post COVID-19, mantieni l’approccio possibilista, pragmatico e speranzoso che pervade il libro? Il movimento Fridays for Future ha qualche possibilità di incidere sulle decisioni o ha esaurito il suo compito? Quei ragazzi stanno crescendo, potranno fare la differenza?
R: Il mio approccio sarà sempre possibilista, pragmatico e speranzoso, per un semplice motivo: è l’approccio che serve per fare le cose, per realizzare i cambiamenti necessari. Fridays for Future ha già ottenuto moltissimo, ha già fatto la differenza: è riuscito a portare l’argomento all’interesse delle persone comuni e il suo compito è tutt’altro che esaurito, perché sta continuando a diffondere consapevolezza e conoscenza sull’argomento, sta spingendo le istituzioni a ragionare su problemi concreti, sta favorendo il rapporto tra ricerca scientifica e società comune, cose di cui c’è bisogno e ci sarà bisogno ancora.
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