Domenica 19 settembre sarà ospite al Festival delle Geografie Paolo Fanciulli, un pescatore che da tutta la vita difende l’ambiente marino costiero della Maremma e il lavoro dei pescatori artigianali opponendosi alla pesca industriale. Sulla sua esperienza è recentemente uscito in libreria La casa dei pesci. Storia di Paolo il Pescatore, di Ilaria De Bernardis e Marco Santarelli.

D: La prima domanda riguarda la pesca industriale: quali sono i danni che provoca ? non solo alla fauna ittica ma a tutto l’ambiente costiero.
R: Ancora oggi se ne parla molto poco, non c’è una cultura vera del nostro mare. Basti pensare che, in un paese del tutto circondato dal mare, siamo tra i maggiori importatori di pesce ma non siamo consapevoli della gravità di ciò che accade nel nostro mare. Che cosa è la pesca industriale? E’ la famosa pesca a strascico. I nostri fondali sono stati devastati perché non c’è stata una politica sulla pesca.
Ormai, con i fondali devastati non possiamo più pescare. L’unico modo per fermare la pesca industriale è collocare in mare grandi blocchi di cemento, che hanno la funzione importante di dissuasori mentre creano una casa naturale per i pesci. Con la pesca industriale la rete, calata sul fondo e trainata dal motore, struscia sul fondo e trascina via tutto; è vietato pescare a strascico entro tre km dalla costa.
Purtroppo non c’è nessuno controllo; la conseguenza è stato un forte declino del pescato negli ultimi 30 anni. Non si può pensare di sostituire il pescato naturale con gli allevamenti, né di aiutare l’ambiente con il fermo pesca. Fermare i pescherecci per 30 giorni non è di alcun aiuto alla natura, in 30 giorni non si salva nulla.
Bisogna invece fermare la pesca a strascico, non si può permettere di usare le catene per pescare a strascico, distruggendo la poseidonia e i coralli. La colpa però, ahimé, non è dell’industria, è anzitutto del consumatore, che è il primo responsabile: l’ambiente, lo dico sempre, si salva a tavola. Da consumatore, facendo la spesa, devo stare attento a chi ha pescato il pesce che mangio, e in che modo, così come con un pomodoro, devo considerare chi lo coltiva, e con la carne chi alleva, e in che maniera.
Una corretta e sana alimentazione significa corretto equilibrio con l’ambiente. Purtroppo i consumatori responsabili sono pochi.
D: Come si può allora valorizzare la filiera sostenibile? Come facciamo a far arrivare sulle nostre tavole il pescato “buono”?
R: Il pescato buono non può più arrivare sulle nostre tavole, non c’è più la quantità sufficiente. In Italia, come dicevo prima, non c’è una cultura del pescato, molti non sanno distinguere le specie ittiche; dal ‘92 faccio attività di pescaturismo e portando i turisti sulla mia imbarcazione, il Sirena, alla sera a cena nel mio ittiturismo spiego che non esistono solo la spigola e l’orata, ma centinaia di specie misconosciute, e soprattutto che quello che conta è la freschezza. La qualità organolettica risiede nella freschezza. Non possiamo più pensare di alimentarci con autentico pescato, purtroppo. Occorre fare corretta informazione.
Nel 2006 sono stato bandito da tutti i mercati, perché per fermare la pesca industriale avevo comprato 800 blocchi di cemento, con l’aiuto dei turisti, e li abbiamo posizionati in mare tra l’Argentario e la foce dell’Ombrone. Continuo a ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato in quest’operazione, che è stata la prima del suo genere per fermare la pesca industriale. (Ben raccontata dalla puntata di Report “Mare Nostrum” del 2008). Lo dico perché si potrebbe tornare ad un corretto acquisto sostenibile del pescato, ma abbiamo anzitutto bisogno di interventi più radicali per fermare l’illegalità, per far tornare il mare all’ambiente di una volta, con progetti di sostenibilità come il posizionamento dei dissuasori o il ripopolamento, rigettando in mare avanotti allevati in modo da aumentare la massa critica.
Ci sono molte ricerche in materia, su ciò che sarebbe possibile fare, ma troppo spesso restano nei cassetti. L’aiuto istituzionale per questi progetti non c’è, perché la pesca industriale è talmente potente… il mio appello è al consumatore, devono mettere in atto il consumo responsabile per i figli. Ma bisogna agire oggi.
Tra l’altro è uscito il libro che racconta la storia di Paolo il Pescatore, che oggi si trova in tutte le librerie; i proventi sono devoluti al progetto della “Casa dei pesci”. Nel libro non si parla solo della pesca industriale, ma anche dell’uso responsabile dell’acqua, dei saponi, dei solventi… sono tutti temi di sostenibilità legati al mare, ma nessuno ne parla.
D: Le ultime domande riguardano proprio i progetti della Casa dei Pesci: che risonanza hanno, come possono stimolare la riflessione delle persone? e per finire in bellezza: come l’arte presente nei progetti, che è arte di grande qualità, può contribuire alla realizzazione dei tuoi obiettivi e alla difesa della natura marina?
R: Il libro è appunto un’opportunità di far capire l’evoluzione di quest’uomo, del nostro mare e i passi fatti negli ultimi anni. Il primo passaggio è stato fatto mettendo a mare i blocchi di cemento; ben più originale è stato mettere in mare 100 opere d’arte, fatto che ha arricchito la bellezza del nostro territorio.
Le conseguenze ecologiche di queste azioni sono state notevoli: abbiamo visto crescere il numero delle aragoste, delle cernie, il ripopolamento di tante specie dimenticate. E’ bastato questo per far tornare migliaia di delfini: con l’università di Siena ed il CNR di Ancona stiamo collaborando ad un progetto europeo per la salvaguardia dei delfini e delle tartarughe marine, che erano praticamente estinte.
I delfini si sono accorti – i delfini sono molto intelligenti – che in quest’area c’era più pesce, dato che è stata salvata dalla pesca industriale; e allora cosa facevano? Aspettavano che noi pescatori artigianali gettassimo le reti, spingevano il pesce nella rete, lo mangiavano ma si mangiavano anche la rete! Ciò non solo causa un danno al pescatore artigianale, ma non fa bene al delfino. Comunque con il nostro progetto stiamo salvando anche loro, anche se tra le due specie, i delfini e i pescatori artigianali, siamo noi quelli più a rischio d’estinzione.
I pescatori artigianali infatti stanno combattendo per far tornare il pesce, ma nessuno di noi combatte per far rimanere i pescatori artigianali. Gli unici che lo stanno facendo sono i Gruppi d’Acquisto solidale che comprano perché creano un rapporto diretto con i pescatori sostenibili e sono preoccupati per la salvaguardia dell’ambiente. Concludo con un appello a tutti per un consumo più sostenibile per aiutare il nostro mare.
D: e con l’invito a venire a Talamone per scoprire dal vivo quest’esperienza straordinaria.
Di seguito 2 filmati che ritraggono il momento della messa in acqua di alcune opere d’arte concepite proprio con la funzione di dissuasione della pesca a strascico.
La foto di copertina e i filmati sono riprodotti per gentile concessione della Casa dei Pesci