E allora impariamo fare i nodi!
Domenica 19 settembre La Nave di Carta scende a terra, al Festival delle Geografie, e lo fa con un laboratorio dedicato ai più piccoli per svelare i segreti dell’arte marinaresca. Infatti, a bordo di un’imbarcazione ci sono tantissime cime, cioè corde. Ci sono cime per le vele, cime e cavi per l’ormeggio, e molte altre. Per usare bene le cime bisogna imparare a fare i nodi…
La Nave di Carta è un’imbarcazione ma è anche un’associazione di promozione sociale con un’idea molto precisa, ed emozionante, della cultura di mare.
Ne parliamo con il comandante Marco Tibiletti, presidente della Nave di carta aps.
D. Marco, puoi farci una brevissima cronistoria de La Nave di Carta? Quando nasce e perché?
R. La Nave di Carta nasce nel 1998 da un gruppo di appassionati di vela e di cultura del mare e, come si può intuire dal nome, della letteratura di mare. L’idea iniziale, che è ancora l’idea che ci guida, è che il mare e le barche siano, per dirla con Joseph Conrad, “una banco di prova” dove crescere individualmente e come equipaggio. Il mare, quindi, come scuola di vita soprattutto per i ragazzi e le ragazze. Uno spazio dove mettersi alla prova condividendo i valori della marineria: collaborazione, condivisione, rispetto delle regole, rispetto di sé, degli altri e dell’ambiente.
In questi decenni abbiamo fatto navigare migliaia di giovani, ma anche persone con disabilità fisica e psichica perché la nostra idea del mare e delle barche è che non siano posti esclusivi, per ricchi. Ma siano e debbano essere uno spazio per tutti, inclusivo: quando molliamo gli ormeggi e lasciamo la terra siamo tutti diversamente abili, dobbiamo imparare a muoverci, a vivere con altre regole. Vedere la terra dal mare significa cambiare punto di vista sulle cose. E’ un’esperienza molto formativa in particolare per i giovani più fragili, attirati da stili di vita negativi.
D. Come è organizzata e quali attività meglio descrivono l’associazione?
R. In questi anni abbiamo sviluppato con i nostri progetti una didattica del mare. E’ una didattica esperienziale che ha due obiettivi: uno educativo e uno di istruzione informale. Quello educativo punta a insegnare a “essere un equipaggio”: imparare a navigare insieme, a lavorare insieme rispettando regole e, cosa che ci sta molto a cuore, divertendosi. L’istruzione informale che facciamo nelle nostre crociere didattiche utilizza il mare come filo conduttore per affrontare tutte le discipline. Il mare è geografia, storia, letteratura, scienze naturali, chimica, fisica.
Ad esempio: per navigare bisogna sapersi orientare e quindi la barca diventa un laboratorio di geografia applicata. E ancora: una barca a vela è un ottimo laboratorio pratico per capire la dinamica dei fluidi.
Fare un nodo, oppure conoscere la nomenclatura nautica serve per raccontare la storia della navigazione che una parte importante (e trascurata) della Storia. Per non parlare della letteratura. Se raccontiamo, ad esempio,
l’Odissea a bordo, troviamo il modo per spiegare come erano fatte le navi degli antichi greci, usiamo le carte geografiche per immaginare la possibile rotta di Odisseo. Insomma, il mare è la scuola, e la barca l’aula, nel nostro caso è una goletta – aula.
La nostra ammiraglia è, infatti, una goletta siciliana da lavoro del 1944. L’abbiamo salvata e restaurata con mesi e mesi di lavoro volontario: una barca del Mediterraneo sulla quale la cultura di trasforma in un’avventura vissuta.
Molte delle nostre attività sono anche dirette al recupero e alla valorizzazione del nostro patrimonio marittimo, materiale e immateriale. In altre Paesi ci sono barche tradizionali che sono monumenti storici, da noi,invece, troppo spesso vanno in rovina. Anche sulla valorizzazione delle tradizioni marinare siamo carenti, una cosa assurda in un Paese che ha 8000 chilometri di costa: ci entusiasmiamo, anche a ragione, per il cartone Luca della Disney ma dimentichiamo le nostre fiabe di mare.
Noi cerchiamo di salvaguardare anche questo patrimonio storico immateriale.
E, naturalmente, insieme al patrimonio storico vogliamo salvaguardare l’ambiente marino e i suoi abitanti. La biologia marina è sempre al centro delle nostre attività, così come le azioni di educazione ambientale.
D. Dopo il “fermo” COVID-19 come avete ripreso l’attività e soprattutto in quali situazioni vi siete imbattuti?
R. Credo che non ci siamo ancora resi ben conto delle conseguenze del lockdown e della riduzione della didattica in presenza abbiamo provocato nei ragazzi, soprattutto in quelli più fragili. Ci sono ragazzi che faticano ad uscire di casa, altri che non riescono a togliersi la mascherina, altri ancora che stanno aggrappati ai loro cellulari e non si staccano. Poi ci sono i “naufraghi”.
In questi mesi abbiamo avuto a bordo gli equipaggi di A scuola per mare, un progetto di contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica. Per questi ragazzi la scuola era un’ancora, un punto stabile al quale stare aggrappati per non andare alla deriva. Il lockdown si è abbattuto su di loro come una burrasca, li ha dispersi. Ora bisogna recuperarli e riportarli a bordo, ovvero riportarli a scuola.
Peggio è stato per le persone disabili e per i loro caregiver. Il fermo Covid ha lasciato sole le famiglie, le madri soprattutto hanno dovuto farsi carico di tutto. Un peso immenso.
Recentemente abbiamo imbarcato persone con ritardo mentale per aiutarli a riprendere i percorsi di autonomia che si sono bruscamente interrotti per la pandemia, ma anche genitori con bambini piccoli con sindrome di down: stare in mare, nella natura, vivendo insieme in barca è stato un toccasana.
La mamma di un bambino disabile ci ha scritto: “sono uscita di casa con mio figlio dopo quasi un anno di solitudine. Sono rinata”. Ecco, per noi, questo è stato il riconoscimento più bello.
D. Puoi darci qualche indicazione sulla tipologia di laboratorio che organizzerete al Festival delle Geografie il prossimo 19 settembre?
R. Geografia e navigazione sono sorelle siamesi. Non può esistere l’una senza l’altra. Non potendo portare la barca in Brianza abbiamo deciso di portare la pratica della marineria tradizionale che usiamo a bordo della nostra goletta.
C’è un vecchio proverbio della gente di mare che dice: “poca cima, poco marinaio” ovvero se non sai usare le cime cioè le corde di bordo, non puoi essere un bravo marinaio. E per usare le cime bisogna imparare a fare i nodi. Faremo con i bambini e le bambine i nodi che si usano a bordo, insegneremo a lanciare le cime di ormeggio. Sarà come un grande gioco dove si impara divertendosi.
Perché se una cosa abbiamo imparato in queste decenni è che si impara molto di più se ci si diverte. Grazie a voi per averci invitato, porteremo un po’ di mare in Brianza e chissà che poi non si riesca a portare un po’di scuole di Villasanta in mare. Buon vento!
Buon Vento a La Nave di Carta!
La Foto in copertina è di Federico Burgalassi on Unsplash