Venerdì 17 settembre il Festival incontra Franco Borgogno, giornalista, fotografo, guida escursionistica, divulgatore scientifico ambientale e presidente di Ocean Literacy Italia. I suoi viaggi, la sua conoscenza e l’approccio divulgativo ne fanno un interlocutore privilegiato per capire la stato di salute del mare, degli oceani, nell’anno in cui le Nazioni Unite varano la Decade delle Scienze del Mare per lo sviluppo sostenibile.
D. Uno dei tuoi libri è “Un mare di plastica” dedicato al tema dell’inquinamento del nostro pianeta ma anche un libro di viaggi in cui spicca il “mitico” passaggio a Nord Ovest. Possiamo introdurre il tema-problema a partire da questo incredibile viaggio?
R. Il libro è frutto del mio primo approccio con la ricerca scientifica diretta, sul campo, per quello che riguarda l’inquinamento da plastica. Il mio obiettivo era fornire in maniera comprensibile a chiunque ma completa ed affidabile il quadro complessivo su questa emergenza. Allo stesso tempo volevo che fosse forte e presente l’emozione e l’esperienza personale dell’appassionato di scienza e di ambiente, di natura che si è ritrovato immerso in un fantastico documentario, come sognavo di fare quando era bambino.
Il filtro personale era essenziale, a mio parere, e il quadro scientifico era arricchito dall’esperienza diretta con Marcus Eriksen, uno dei principali studiosi ad essersi occupati di inquinamento da plastica negli ultimi 25 anni.
Con lui, in quelle due settimane di lavoro comune, ho potuto approfondire i dettagli e l’enormità di questo fenomeno, diffuso ovunque – dall’Artico come stavamo documentando alla neve sulla cima delle Alpi come sto documentando con la ricerca su cui sta lavorando in questo momento, passando per laghi, fiumi, acqua del rubinetto e bevande imbottigliate -, con una durata potenziale di molte migliaia di anni, in quantità immense e quasi inimmaginabili – parliamo di oltre 10 milioni di tonnellate di plastica che finiscono in mare ogni anno – e con la capacità di fare da vettore a qualunque altro tipo di inquinamento, diluito in acqua o nell’ambiente, o qualunque tipo di organismo patogeno. Vedere tutto questo sullo sfondo di un luogo bellissimo, in cui la natura si esprime in tutta la sua potenza e magnificenza, aiuta a mettere a fuoco la questione e a raccontarla insieme all’emozione provata.
D. Tu dici che nell’Artico si alternano le meraviglie della Terra e i problemi della nostra epoca. Ovvero?
R. L’Artico è un luogo di straordinaria bellezza, oltre quello che possiamo immaginare da lontano. La natura è totale, preponderante, meravigliosa e potente. L’Artico è uno di quei luoghi si possono trovare tutte insieme le varie forme di vita presenti sul Pianeta, ovviamente adattate a quel tipo di condizioni ambientali: abbiamo batteri e piante, mammiferi marini e terrestri, insetti e uccelli, pesci e molluschi, alghe e licheni…
In Artico si possono ammirare colori incredibili: basti pensare che tra ‘800 e inizio ‘900 gli stilisti e gli artisti si facevano imbarcare sulle baleniere per poter arrivare a quelle latitudini per osservare sfumature e tonalità di colore sconosciute, per trarne ispirazione. L’ho potuto testimoniare direttamente perché effettivamente nelle 3 spedizioni in Artico a cui ho partecipato è stato forse il dettaglio più strabiliante: il cielo e il mare cambiano continuamente colore, assumendo tonalità di rosa, verde, giallo, azzurro, viola mai apprezzate, sfumature impossibili.
Ebbene, tutta questa meraviglia convive, si sovrappone e incrocia con i più grandi problemi della nostra epoca, a partire dal più grande in assoluto: il cambiamento climatico, da cui discendono problemi economici, di salute, di sicurezza ecc… Lo scioglimento dei ghiacci e gli effetti che questo ha sulla vita e sull’intero sistema naturale sono evidenti e chiaramente percepibili. Ma anche l’inquinamento da plastica: in ognuno dei dieci campioni prelevati nell’attraversamento del Passaggio a Nord Ovest abbiamo trovato microplastiche. Ecco in questo senso la straordinaria meraviglia del nostro pianeta e della natura nel suo insieme e gli enormi problemi che le attività antropiche hanno creato alle condizioni fisiche e chimiche del Pianeta, anche in luoghi assolutamente lontani dalla fonte di questi problemi, in Artico sono straordinariamente evidenti, il contrasto è clamoroso.
D. La plastica è stata una rivoluzione del settore dell’industria e del consumo. Il vero problema è che ne usiamo e ne buttiamo davvero molta. Produciamo, mangiamo, vestiamo plastica, anche a nostra insaputa. Cosa si può e deve fare? Dal 3 luglio è in vigore la direttiva UE SUP (single use plastic) che vieta l’utilizzo di plastica monouso. L’Italia che aveva investito molto sul riciclo della plastica (inclusa la monouso). Abbiamo sbagliato?
R. No, noi non abbiamo affatto sbagliato il riciclo è uno degli elementi fondamentali nella gestione di questo ed altri materiali. Ed è uno degli elementi fondamentali anche nella strategia Europea sull’economia circolare e all’interno di questa della strategia europea sulla plastica.
Queste strategie sono le più avanzate a livello globale e il resto del mondo tende a copiarle o comunque a imitarle, ispirarsi ad esse. Ma il riciclo non è la soluzione, il riciclo ci permette di gestire la situazione, ma non di risolverla. Il problema, il primo obiettivo, è la riduzione (e in prospettiva l’eliminazione) del monouso, semplicemente non sostenibile. Intanto, gran parte del monouso non è riciclabile per varie ragioni. Inoltre, è uno spreco economico: utilizzare un materiale che tra le sue caratteristiche principali ha quella di resistere e durare moltissimo per produrre oggetti che vengono utilizzati per qualche minuto quando va bene, se non qualche secondo, è concettualmente ed economicamente sbagliato. Spreco un materiale prezioso e molto importante per il 99,9% del suo potenziale utilizzo. Inoltre, come già accennato, non siamo in grado di riciclare tutto, per tantissime ragioni. Quindi dobbiamo ridurre al massimo l’utilizzo di plastica per essere in grado di riciclare correttamente tutta quella davvero fondamentale e insostituibile.
Per questo, la Direttiva europea appena entrata in vigore – frutto di un voto unanime di tutti i Governi europei, è bene ricordarlo, avvenuto tre anni fa – punta innanzitutto a vietare la produzione di quegli oggetti monouso per cui esistono già sul mercato ampie scelte alternative. Su tutti gli altri oggetti si procede con indicazioni precise sulla quantità di plastica utilizzabile e sulla tipologia di plastica (in modo che sia effettivamente riciclabile) e successivamente, con verifiche periodiche, si implementerà la strategia. Questo, tra l’altro, non significa in alcun modo ridurre l’economia e quindi i posti di lavoro o la ricchezza: nella stessa strategia è previsto un incremento dei posti di lavoro rispetto allo stato attuale, non una riduzione. Le polemiche e le speculazioni in questo senso sono frutto di fandonie ideologiche che qualcuno periodicamente tenta di mettere in giro o semplicemente l’espressione di interessi particolari che vanno contro l’interesse generale.
D. La tua partecipazione a questo viaggio si inserisce nel concetto, affascinante, di citizen science che mi sembra unisca il concetto di un’umana presenza attiva e consapevole su questa Terra e quello di necessaria educazione scientifica. Una sorta di “nessuno si senta escluso” a cui tutti siamo chiamati?
R. La Citizen Science, che potremmo tradurre con ‘ricerca scientifica diffusa’, è ormai uno dei capisaldi di tutta la scienza, in particolare quella ambientale. Questo per ragioni molto semplici da comprendere: gran parte delle Scienze Ambientali richiedono azioni di ricerca molto ampie nello spazio e nel tempo, con conseguenti costi immensi. La Citizen Science permette di superare questi problemi perché, coinvolgendo cittadini adeguatamente formati e preparati per svolgere una parte della ricerca, si rendono possibili attività di monitoraggio e raccolta dati che vengono poi elaborate dagli scienziati che curano direttamente quell’attività.
Pensiamo ad esempio a una persona che vive in una zona remota del Pianeta: può anche solo semplicemente ospitare gli strumenti, verificarne le condizioni e in questo modo contribuire a ricerche importantissime. Ma si può fare molto altro: nel nostro caso abbiamo contribuito partecipando attivamente al campionamento delle microplastiche nel Passaggio a Nord Ovest, fino a quel momento inesplorato sotto questo aspetto. Quindi, non solo nessuno si senta escluso ma ciascuno porti il proprio contributo al progresso della conoscenza e quindi al miglioramento della qualità della nostra vita in ogni suo aspetto.
D. Artico, ghiacci, acqua, oceano-mare. E proprio da ‘Oceano mare’ di Alessandro Baricco che abbiamo estratto la frase che dà il titolo al Festival delle Geografie 2021 “Dove inizia la fine del mare”. Da noi?
R. Il mare siamo noi. La vita su questo pianeta è nata nell’oceano globale, che noi chiamiamo più familiarmente mare, e ad esso è legata in ogni istante sotto molteplici aspetti: l’ossigeno che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, la nostra salute, la nostra sicurezza, il benessere in senso assoluto ma anche in senso economico… Ma la nostra esistenza è legata a doppio filo al mare, anche per le conseguenze che le nostre azioni e i nostri comportamenti hanno sulle condizioni fisiche e chimiche del mare e quindi dell’intero Pianeta. Quando parliamo di ‘rischio per il futuro del Pianeta’ in realtà stiamo parlando di rischi per noi, esseri umani, e di altri organismi che come noi hanno bisogno di condizioni precise per vivere. Il Pianeta, in realtà, ha un futuro in ogni caso, semplicemente in condizioni diverse. Noi siamo il mare in ogni momento, insomma. Rendersi conto di questo è il primo e più importante elemento per la tutela del mare e quindi del nostro benessere futuro.
D. Le Nazioni Unite hanno dichiarato il periodo 2021-2030 la Decade delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile indicando in sette parole gli obiettivi concreti che si vogliono raggiungere: pulito, sano, prevedibile, sicuro, sostenibile, trasparente, ispirazionale. Affinché non rimangano solo delle parole quali sono le azioni che concretamente verranno messe in atto? Stiamo parlando solo di attività di sensibilizzazione, di presentazioni di ricerche scientifiche o possiamo aspettarci delle azioni concrete, “binding” sui decisori (Stati, WTO, imprese…)?
R. Stiamo parlando di un insieme di azioni molto concrete, a vari livelli, di varia intensità e su vari fronti tematici, che coinvolgono tutto il pianeta e tutti i cittadini. Ciascuno di noi è un professionista, ciascuno di noi può essere un attore politico, ciascuno di noi ha un ruolo nella società. Per questo è fondamentale il miglioramento e la crescita della conoscenza, da qui nasce il ruolo chiave della sensibilizzazione sulle Scienze del mare. Non è un semplice fatto accademico ma ha ricadute sulle azioni di grande respiro, globali, che coinvolgono i Governi, le Istituzioni transnazionali e sovranazionali, l’industria e l’economia. Se non è chiaro il nostro legame con il mare, difficilmente la politica farà certe scelte e l’economia adatterà le proprie dinamiche. Gli obiettivi del Decennio del Mare sono quindi assolutamente concreti e partono proprio dal coinvolgimento dei Paesi e delle Istituzioni che, sensibilizzati e coinvolti, costruiranno e programmeranno azioni diverse ma con l’unico obiettivo di cambiare, trasformare leggi e comportamenti.
Franco Borgogno, Un mare di plastica, Nutrimenti
Foto di copertina di Marco Savastano on Unsplash