Chiara Serenelli, studiosa del paesaggio e autrice di una guida sulla Via Lauretana, ci parla del complesso lavoro di recupero dei tracciati storici – in equilibrio tra rispetto del passato ed esigenze turistiche – e del loro valore quali strumenti di conoscenza del territorio.
Chiara Serenelli è una di quelle cittadine che ti aspetteresti di trovare in ogni angolo della nostra penisola: laurea in architettura del paesaggio, dottorato in paesaggistica, oggi insegnante e animatrice di iniziative a favore della riscoperta del proprio territorio, le Marche, e in particolare di Loreto, la sua città. Una vita dedicata all’articolo 9 della Costituzione. Nel 2010 incontra sulla sua strada il Cammino di Santiago e alla sua passione di ricercatrice si aggiunge la necessità di scoprire il mondo spostandosi a piedi. Gli anni che seguono sono il continuo tentativo di coniugare queste due passioni con il lavoro: portare cammini e paesaggio all’interno delle scuole e dei paesi. Con lei abbiamo parlato del lavoro di riscoperta degli itinerari storici che portano a Loreto e di quanto sia utile tornare a camminare per apprezzare, davvero, il paesaggio che abbiamo attorno.
Chiara, come nascono queste passioni?
Per chi abita in territori come quelli dell’Italia centrale il contatto con paesaggi storici, più o meno consapevole che sia, è costante. Quando ero adolescente, in occasione del Giubileo del 2000, partimmo da Loreto e andammo a Roma a piedi, insieme al gruppo di ragazzi con cui facevo teatro. Ci ispirammo alle cartografie settecentesche del “Viaggio da Ancona a Roma” di Giuseppe Zagnoni; al tempo senza sapere che ci trovavamo su un ramo importante delle vie lauretane. In seguito, con più consapevolezza, mi sono dedicata all’architettura, portando a termine una tesi che concentrava la sua attenzione su Loreto, la sua forma urbanistica, gli aspetti devozionali legati alla città. E’ stato dunque il tempo del cammino di Santiago: partita senza sapere a cosa andassi incontro, sono tornata a casa con il pallino dei viaggi a piedi. Da lì, durante il mio percorso di dottorato all’Università di Firenze, con altri studenti e sotto la guida del prof. Enrico Falqui, abbiamo fondato Verdiana Network. In quel periodo ho capito, analizzando la mia città, che i miei interessi si sposavano perfettamente: la vera essenza di Loreto è la percorrenza.
Ci può spiegare meglio?
Quando ho iniziato a osservare Loreto mi sono accorta che il Santuario della Santa Casa è posizionato in un luogo nevralgico, che lo connette con il territorio circostante.
Quando nel 1294, secondo tradizione, la casa della Vergine fu trasportata per “mistero angelico” da Nazareth nelle terre dell’antico comune di Recanati, la prima scelta fu di collocarla fuori dal borgo, in un territorio selvoso. Si rilevarono presto dei problemi: i pellegrini, addentrandosi nei boschi, erano frequenti vittime di briganti e animali selvatici. Un nuovo riposizionamento avvenne spostando la casa in un campo, la cui proprietà era però contesa tra due fratelli in lite tra loro, quindi nuovamente inadatto; si scelse, infine, di posizionarla nella pubblica via laddove oggi ancora si trova, custodita dalla basilica.
Al Santuario confluiscono a raggiera dal territorio circostante molte vie; in occasione del Giubileo del 1575, al termine di ogni via di ingresso a Loreto, furono installate delle fonti d’acqua dall’architettura monumentale. Questo avvenne poiché, in occasione della ricorrenza, a Loreto giunsero così tanti pellegrini che le fontane presenti non bastavano per soddisfare la sete di tutti.
L’urbanistica cittadina dipende, insomma, da quella scelta di posizionamento, una scelta che ha permesso alla città di divenire nodo di una rete viaria di collegamento che si estendeva a tutto il territorio circostante.
Nasce quindi dal periodo universitario l’idea di pubblicare una guida?
No, non è stato così immediato. Con i colleghi e amici di Verdiana Network – oggi intervistate me, ma qui parliamo del prezioso lavoro di un vasto gruppo di persone – abbiamo iniziato a studiare il contesto, tra proposte di politiche urbane sostenibili e un lavoro di studio e riscoperta dei percorsi di pellegrinaggio verso Loreto. Su questa seconda parte del lavoro, che ha ovvie ricadute di tipo turistico, c’è stata maggior possibilità di dialogo con le istituzioni dei territori interessati; così, dopo mesi di lavoro, abbiamo presentato una relazione conclusiva con l’analisi dello stato dell’arte e una proposta di rilancio. Nonostante l’apparente interesse iniziale, la collaborazione non è poi proseguita e il nostro lavoro è rimasto sospeso a mezz’aria. Nel frattempo Don Paolo Giulietti, all’epoca parroco di Ponte San Giovanni e oggi Arcivescovo della diocesi di Lucca, mi contattò per affiancarlo nella stesura di una guida. Lui era ed è un gran conoscitore della sentieristica: sommammo le sue tracce e il nostro lavoro di ricerca storica e nel 2015 uscimmo finalmente con “La Via Lauretana” pubblicata da Terre di Mezzo.
La guida però propone solo una parte dei percorsi storici lauretani.
La prima edizione presenta il tratto da Assisi a Loreto, mediando tra esigenze logistiche e attenzione al rispetto dei tracciati storici. Un lavoro spinoso, per nulla semplice. La pubblicazione della guida è il primo tassello di un progetto di lungo respiro che vorrebbe arrivare a ricostruire l’intero percorso fino al collegamento con la Francigena e quindi a Roma. Nella stesura ci siamo rifatti al tracciato di un’antica strada postale del Cinquecento, affermatosi anche come itinerario turistico all’interno del Grand Tour. Ora stiamo lavorando in coordinamento con la regione Toscana sulla Via Lauretana senese. Idealmente il traguardo finale dovrebbe essere una nuova edizione che ora consideri le percorrenze lauretane nella loro complessità.
Perché parla di lavoro “spinoso”?
In primo luogo c’è un aspetto istituzionale: le regioni interessate dalle vie lauretane hanno avuto difficoltà a coordinarsi in questi anni. Ci sono inoltre diversi enti e persone coinvolte nel recupero di tracciati storici come questi, tante pubblicazioni: il rischio è di veder moltiplicare le iniziative e disperdere le energie, in una competizione che non giova a nessuno. Come Verdiana Network siamo stati i primi a proporre un lavoro di ricerca e proposta complessivo sulla via lauretana, ma abbiamo, io credo, pagato lo scotto di essere una piccola associazione con base a Firenze, quindi “forestiera”. Abbiamo così deciso – per ovviare al problema e proseguire il lavoro – di fondare un’altra associazione, “Orme Lauretane”, con sede a Loreto. Tuttavia, oggi un sito di riferimento, per chi cerca notizie istituzionali sulla Via, si chiama “Cammini Lauretani” ed è stato riconosciuto dalla regione Marche.
L’altro aspetto di complessità riguarda la natura del percorso. La via lauretana è un insieme di itinerari storici, un intrico di vie e luoghi di devozione: dare forma lineare al percorso è una riduzione ad uso turistico, esigenza criticabile dal punto di vista storico, ma di cui necessariamente tenere conto per promuovere l’idea di un cammino a tappe.
Quindi la “storicità” diventa allo stesso tempo problema e risorsa, ci sembra di capire. Come si risolve?
Quando hai una fonte, come nel caso della via Francigena, che si basa sostanzialmente sul diario di un pellegrino, è più semplice. Quando hai una pluralità di fonti, una quantità di segni sparsi sul territorio, è più complicato: devi darti un criterio.
Il padre di una delle fondatrici di Verdiana Network, Divo Savelli, venuto a mancare lo scorso anno, è stato uno storico dell’arte e un amante della sua terra: per anni si è dedicato allo studio delle tracce della lauretana senese e, più in generale, a studiare la devozione lauretana nell’Italia centrale. Un paio d’anni fa mi accompagnò nella puntata di Geo in cui presentammo la guida. A lui dobbiamo molto. Il suo lavoro non si basò solo su fonti scritte, ma sulla costante ricerca dei segni devozionali nel paesaggio: le vie che giungono a Loreto sono disseminate di cappelle, edicole, immagini sacre, diffusesi ad uso dei pellegrini che svolgevano l’itinerario penitenziale verso la Santa Casa. In egual misura sono stati fondamentali il lavoro e la riflessione di Padre Floriano Grimaldi e quelli di Padre Giuseppe Santarelli.
Oggi dovremmo immaginare un percorso da cui si dipartono tante deviazioni, che permettano di diluire e rallentare il cammino e consentano un’immersione capillare nel paesaggio attraversato, nella sua ricchezza, alla scoperta dei segni del pellegrinaggio sopravvissuti al tempo.
Il territorio interessato dalla Via ha subito grandi trasformazioni in questi anni?
Ovviamente sì. La via lauretana marchigiana somiglia ai fiumi dell’Appennino: scende dalle montagne al mare in modo perpendicolare alla costa. Si attraversano paesaggi via via differenti. Alcuni pellegrini si sono lamentati del fatto che fino a Belforte del Chienti si cammina in piacevoli territori montani e collinari, per poi, progressivamente, perdere quota ed entrare in ambienti urbanizzati, dove si ha a che fare con traffico e asfalto; due elementi che non favoriscono chi cammina a piedi.
Oggi si parla molto di questo: c’è chi propone di modificare il percorso, deviandolo a favore di fruibilità e sicurezza. Io dico che è necessario salvaguardare l’aspetto devozionale di questa percorrenza – e lo affermo da persona che ha iniziato a camminare senza alcun movente di carattere religioso – perché è quello il nodo che lega insieme storia e geografia, che permette di cogliere appieno il valore del paesaggio che si attraversa.
Il cammino come strumento privilegiato per comprendere il paesaggio…
Per un duplice motivo. Ad un primo livello camminare permette di osservare nel dettaglio, rilevare gli aspetti visibili, il paesaggio, così come di aprirsi all’incontro con chi lo abita, con le persone che lo vivono e lo definiscono. Forse mi esprimo in termini sbagliati, ma reputo che il cammino porti a una “vera” conoscenza del territorio.
Un secondo livello è meno immediato: camminare su itinerari storici richiede uno sforzo conoscitivo per coglierne a pieno il valore. Si tratta di un invito allo studio, passo dopo passo, a scavare nella storia e nella geografia, per capire il significato di quanto si attraversa e traguarda. Questo “invito” è per me l’essenza della Lauretana.
Le immagini contenute nell’articolo sono state gentilmente concesse da Chiara Serenelli.
Intervista a cura di Alfio Sironi per il Comitato scientifico del Festival.